Parole e Colori

Emilù

Erano passati ormai più di quindici anni, ma il ricordo stava lì, impresso in ogni cellula del suo corpo.

Emilù aveva scoperto di essere incinta in estate, a casa di un’amica. Tutto avrebbe immaginato, ma non quello. E poi lei e Pier non si vedevano da due mesi… e avevano sempre usato le dovute precauzioni. Com’era potuto accadere? Nel dubbio aveva ripetuto il test il giorno successivo, ma il risultato non era cambiato.

Gelo, paralisi, confusione, ecco le sensazioni che aveva provato. Non era riuscita a pensare a nulla e nemmeno a parlare, come una statua priva di emozioni. Le ci erano voluti un paio di giorni per capire cosa realmente era accaduto. La sua vacanza era terminata in quell’istante. Aveva sistemato i vestiti nella valigia alla rinfusa e poi era partita con la sua “Panda” gialla, decisa a tornare a casa e sistemare la situazione al più presto… nel bene o nel male. Non sapeva con chi parlarne, ma era certa che i suoi genitori e Pier non sarebbero stati i primi a saperlo. Voleva decidere senza condizionamenti, sensi di colpa o paure. Voleva il meglio, per lei e soprattutto per il suo bambino, anche se faticava parecchio ad immaginarsi nel ruolo di madre. Viveva da sola e sapeva con matematica certezza che al lavoro avrebbero visto di mal occhio la sua gravidanza.

Così aveva deciso di fare l’unica cosa sensata che le era venuta in mente: rivolgersi ad un consultorio. L’aveva accolta una donna dall’atteggiamento molto professionale, era un’assistente sociale. Dopo aver ascoltato attentamente tutta la vicenda, l’operatrice aveva espresso senza ombra di dubbio il proprio parere, consigliandole di abortire, considerando che per una donna sola nella sua situazione, una scelta differente sarebbe risultata una chiara dimostrazione di irresponsabilità. Frastornata da quello sterile incontro privo di empatia, dove valutare ipotesi differenti implicava addossarsi un pesante senso di colpa sociale, Emilù era tornata a casa con le lacrime agli occhi. Aveva pochi giorni per agire, se non voleva tenere il bambino, e sentiva che una decisione presa sulla scia della paura e del giudizio, sarebbe risultata fallimentare.

Decisa ad ascoltare quella voce interiore che stentava ad osare di esprimersi, aveva spento il telefono e si era immersa in se stessa. Il terzo giorno, dopo una notte turbolenta, si era svegliata con un’immagine impressa nella mente. Era sola e teneva in mano un vassoio d’argento pieno di sabbia. Poi all’improvviso la sabbia cadeva a terra e lei, nell’intento di raccoglierla, si stupiva di trovare tra i granelli grigi delle pepite d’oro lucenti. Attraverso quel sogno Emilù aveva compreso il messaggio profondo del suo amino e, da quel momento, tutto era diventato più semplice. Aveva contattato i suoi genitori che, nonostante l’iniziale turbamento, le avevano dimostrato un grande affetto, offrendole il sostegno necessario per accogliere il futuro nipotino. Poi ne aveva parlato a Pier… che però non era riuscito ad accettare l’idea di diventare papà e si era allontanato definitivamente dalla sua vita.

Quando Emilù raccontò tutto a Valentina, Francesco era già un’adolescente. Ripercorrere il passato le fece provare antiche emozioni e, soprattutto, comprese quanto fosse stato importante all’epoca avere avuto la forza di sfidare le proprie insicurezze e i condizionamenti, per trovare la sua, inequivocabile, risposta

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