Parole e Colori

Una casa per l’Anima

“Datemi una casa, vi darò la mia anima.”

Così aveva esordito Chicca durante una serata tra amici. Era una donna di bell’aspetto, intelligente ed estremamente creativa. Da ragazza aveva studiato architettura, ma la sua arte era ben altro. La esprimeva facendo fotografie, cucinando, creando fantasiosi addobbi per le feste con materiali di recupero e molto… moltissimo altro. E poi aveva una gran capacità di aggregare le persone, di “fare festa” ovunque fosse. Insomma, era un vulcano di idee e allegria.

Per anni aveva vissuto da sola con Bobo, un bellissimo gatto dal carattere particolarmente vivace, rinunciando ad una “vera famiglia” a causa del suo eccessivo desiderio d’amore. E non si trattava di un paradosso, perché Chicca voleva accanto a sé un uomo col quale essere felice e, nonostante ci avesse provato, con nessuno era realmente accaduto. La sua casa era accogliente, curata e soprattutto sempre colma di vita. Perché Chicca organizzava pranzi e cene sontuosi per gli amici, condividendo con loro l’amore per la cucina. La sua vera anima risiedeva lì, nell’unico luogo dove poteva esprimere se stessa senza limiti.

Un giorno però accadde un fatto che fece prendere una piega difficile alla sua vita: perse il lavoro. Si reinventò, studiò per i concorsi, lavorò ovunque ci fosse bisogno, ma nulla portò gli esiti sperati e i soldi cominciarono a non bastare più. Aveva all’incirca cinquant’anni e, a quell’età, le donne iniziavano ad essere considerate “vecchiotte” per la maggior parte degli impieghi. Quindi scelse l’unica strada che le parve possibile e si trasferì dagli anziani genitori. Fu per lei un’umiliazione grande, a tratti insostenibile, perché perse il punto di riferimento della sua anima, minandone l’autostima alla radice. Pian piano si spense e tutti i suoi vulcanici talenti divennero come delle fotocopie sbiadite dal tempo.

Valentina la conosceva da quando erano ragazze e sentiva nel profondo che Chicca aveva ancora molte risorse da donare, forse addirittura migliori di quelle espresse sino a quel momento. E così la convinse, con una scusa, a seguirla alla Scogliera degli Abbandoni. Non fu semplice, perché si trattava di un luogo pericoloso e poco frequentato, visto da molti con diffidenza e spesso deriso. Una volta arrivate, dovettero togliere le scarpe e proseguire a piedi nudi lungo un sentiero sabbioso, ai lati del quale c’erano numerosi alberi, diversissimi tra loro. Querce, abeti, siepi, noci, piante da frutta e addirittura bonsai, si alternavano creando un’atmosfera a dir poco surreale. Valentina le chiese di guardarli con attenzione, respirare a fondo e poi sceglierne uno. Scettica ma curiosa, Chicca optò per un pesco fiorito che emanava un buonissimo profumo. A quel punto, Valentina la guardò negli occhi e le disse con tono deciso di arrampicarsi. Sempre più perplessa Chicca eseguì e, giunta in cima, si accorse di quanto l’intero paesaggio le apparisse diverso, osservato da quel nuovo punto di vista.

In quell’istante Valentina capì di doverle rivelare la metafora celata di quel luogo bizzarro, che molti rifiutavano di conoscere. La Scogliera degli Abbandoni era un posto riservato solamente alle persone più coraggiose, quelle che sapevano riconoscere il proprio albero di famiglia, trovare una posizione in esso e infine abbandonarlo definitivamente per seguire la propria strada.

Chicca, per un breve istante, rivide i volti di tutti i suoi cari e li percepì dentro di sé come se il loro sangue si fondesse al suo in una danza misteriosa. Poi guardò Valentina per avere ulteriori indicazioni, ma lei stranamente tacque. Si limitò a guardarla sorridendo, consapevole che Chicca, da quel momento in poi, avrebbe saputo autonomamente come agire. E così fu, perché lei sorridendo sollevò le braccia e con un balzo si tuffò dalla scogliera, certa che la sua anima avrebbe presto trovato una casa.

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